VIALE DELLA ZOPPAS
Di Mario Anton Orefice, ed. De Bastiani, Vittorio Veneto 1999

 

- sabato 23 Maggio
- ogni minuto un colpo
- una zeta a Hong Kong
- la sfida
- il passo falso
- da azienda nasce azienda
- controcatena
- via delle case popolari 4
- bibliografia
- ringraziamenti

 

Sabato 23 maggio 1970 a Conegliano era già estate. Per Giuseppe era una mattina come le altre, sveglia alle sei, il caffelatte e poi in fabbrica. Lungo la strada incrociò uno che lavorava con lui, gli veniva incontro in bicicletta e pedalava forte. Quando gli passò accanto gridò con faccia contenta: è morto Gino, due giorni di festa.

Giuseppe si fermò, piangeva. Quell’operaio, proprio uno di quelli che lavorava con lui gomito a gomito, con il quale ogni giorno parlava di sport e di donne, proprio quello lì che aveva detto quella frase vergognosa era un maledetto.

Il giorno dopo seduto a uno dei tavolini del bar della signora Emma, quello di fronte alla vecchia casa degli Zoppas, a due passi dagli stabilimenti, Giuseppe leggeva Il Gazzettino: "È morto questa notte il cavaliere di Gran Croce Luigi (Gino) Zoppas. Aveva 64 anni. Con lui scompare uno dei più noti capitani d’industria del Veneto. Insieme ai fratelli Augusto e Francesco era stato infatti l’artefice della nascita e dello sviluppo della Ferdinando Zoppas spa, un complesso d’importanza mondiale nel settore degli elettrodomestici.

Da circa un mese sofferente per una flebotrombosi alla gamba sinistra, Gino Zoppas non aveva voluto trascurare il lavoro che da quarant’anni lo vedeva ininterrottamente sulla breccia. Stamane poco prima delle tre è stato colto da malore nella sua abitazione. Soccorso dai familiari e accompagnato d’urgenza al vicino ospedale, è morto alle quattro, malgrado il prodigarsi dei medici, per embolia polmonare.

Le doti di progettista e di direttore tecnico dell’industriale scomparso si sono manifestate fin dal 1926 quando, grazie alla sua perspicacia, la piccola azienda aveva cominciato a modernizzarsi tecnicamente per giungere a produrre, nel 1930, un rivoluzionario modello di cucina economica. Era il primo, importante passo sulla strada in costante ascesa di una industria che nel dopoguerra avrebbe portato il nome degli Zoppas nel mondo.

Nel 1946, un anno tra i più difficili per l’industria italiana, Gino Zoppas, dopo avere svolto una paziente opera di recupero delle attrezzature disperse nei dintorni di Conegliano, decise di costruire da sé le parti in ghisa delle sue cucine e di realizzare un impianto autonomo di smaltatura. Nel 1948 gli stabilimenti si estendevano già su una superficie di 20.000 metri quadrati, divenuti 50.000 appena quattro anni più tardi. Il resto è storia recente. Nel 1954, Gino Zoppas guida la sua équipe di collaboratori tecnici all’impostazione di una catena di montaggio per frigoriferi e nel 1960 l’azienda raggiunge la produzione giornaliera di 1.000 unità. Vengono impostate le prime catene di montaggio per lavabiancheria, mentre sorgono industrie collegate per la produzione di parti elettriche e in plastica. Nel 1961 la Zoppas diviene società per azioni: è anche l’anno dei prodotti idrosanitari. Nel 1964 Gino Zoppas e i suoi tecnici progettano la prima lavastoviglie italiana su scala industriale. Viene avviata la nuova fonderia di San Fior mentre a Susegna sorge la prima unità del nuovissimo stabilimento ... ".

È stato il dispiacere a ucciderlo, pensava fra sé Giuseppe mentre insieme ad altri operai faceva la guardia alla camera ardente allestita all’ingresso degli uffici in via Cesare Battisti, o in Viale della Zoppas come ancora oggi molti coneglianesi chiamano quella strada. Lungo i marciapiedi e appese alle recinzioni centinaia di corone di fiori spandevano nell’aria calda un odore dolciastro. Giuseppe non si accorgeva del sudore che gli colava lungo la schiena mentre se ne stava dritto come un corazziere. I ricordi si inseguivano nella sua mente, un’immagine accanto all’altra. Nel ’39 aveva quattordici anni quando per la prima volta entrò nella piccola fabbrica in Viale della Zoppas 4. Allora era tutta campagna lì. Più avanti c’era la casa dei Bazzo, di fronte stavano i Sanson e i Baldan, e più in là c’era la villa del Maggiore, che poi avrebbero comprato gli Zoppas per farci degli stabilimenti. E poi c’era la casa degli Zoppas, al numero 2, sull’angolo fra via Cesare Battisti e via Pittoni. Abitavano dove una volta c’era l’Osteria alle Crode, quella che aveva anche la balera. Crode in dialetto vuol dire pietre, la chiamavano così perché il vicino fiume Monticano aveva molti massi che rafforzavano l’argine. In estate su quelle pietre si andava a prendere il sole e a fare il bagno. Erano i tempi in cui l’acqua del Monticano si poteva bere.

Accanto a Gino in fabbrica c’era sempre lo zio Luigi Buzzati, parente alla lontana dello scrittore. Era stato fattore dei conti Paoletti di Mareno e Follina. Giuseppe si ricordava di quando al tornio perfezionò quel pezzo che serviva alla poltrona girevole che Buzzati, ormai ottantenne, si era fatto costruire per andare a caccia. Seduto su quell’aggeggio poteva girarsi e seguire con il fucile gli uccelli in volo. Era anche un appassionato di vini.

Detestava gli sprechi. Una volta Giuseppe per ridurre il calore provocato da una nuova macchina che scaldava troppo, costruì una ventola che dall’alto rinfrescava l’aria. Luigi Buzzati quando la vide gli disse: Aspetta, aspetta l’inverno. A metà novembre Giuseppe smontò la ventola.

L’Osteria alle Crode era quella dove i bambini si divertivano a tirare la corda dell’armonium, che gioia sentirlo suonare. Tra familiari e servitù ci andarono ad abitare in 21 persone. Quella che era stata la balera ospitò i primi uffici, e sul campo di bocce si costruì l’officina. Uno dei primi operai fu Gigi Zago che faceva il battiferro, alcuni venivano da Spresiano, il paese a metà strada fra Conegliano e Treviso, dal quale gli Zoppas erano arrivati dopo la Prima Guerra Mondiale. A quel paese rimasero sempre legati: nella primavera del 1940 contribuirono al rifacimento del campanile, e verso il 1960 regalarono una cucina alla mensa dell’oratorio parrocchiale.

Giuseppe attraversava gli uffici per entrare nell’officina di circa 20 metri quadrati, c’erano una cinquantina di operai. Si costruivano cucine economiche a legna, si compravano i piastroni delle navi in demolizione per fare gli stampi. Le piastre in ghisa delle cucine venivano da una fonderia di Bassano. Per i piccoli pezzi in alluminio e in bronzo, Giuseppe andava da Padovan che allora aveva la fonderia in via Verdi, da Antonio Padovan, sì proprio quello della TMCI Padovan: aveva iniziato nel 1919 con le prime elettropompe, torchi, filtri e distillatori per il settore enotecnico. Per lui la guerra fu un vero disastro, nel 1944 i bombardamenti spazzarono via l’officina, i disegni, i macchinari e i modelli. Dovette ricominciare da capo. Pian piano, con il sacrificio degli operai e l’impegno dei figli Luigi e Giuseppe, l’azienda risorse.

Le prime cucine venivano pitturate e lasciate asciugare al sole, la verniciatura avveniva dietro la fabbrica, sotto una tettoia, c’era un odore micidiale. Nel ’41 venne introdotto un piccolo aeratore ma serviva a poco o niente. Poi venne la guerra. Su sette operai che erano stati chiamati alle armi tre ottennero l’esonero grazie a Luigi Buzzati. Con la lamiera dei bidoni d’olio usati si costruivano le cucine e, per conto del Governo, le cassette per le munizioni. L’interno delle cassette destinate alle bombe a mano era diviso da strisce di cuoio. Giuseppe, che era diventato operaio qualificato e prendeva una lira e sei centesimi all’ora, chiese se poteva avere una correggia di cuoio per ritagliare una cintura. La prima risposta fu no, poi il capofabbrica chiuse un occhio e Giuseppe se ne andò a casa con la sua striscia di cuoio dalla quale ricavò un paio di sandali con la suola in sughero che gli durarono un bel po’ di anni, e la cintura. Quello fu un periodo in cui si lavorava moltissimo, si fabbricavano anche le cucine da campo che avevano una piegatura in fondo, dove poggiavano i piedi. Erano fatte come le slitte perché dovevano scivolare sulla terra o sulla neve in Russia. Forse anche il rancio del Sergente nella neve era preparato su una cucina da campo nata a Conegliano.

Quando c’erano gli allarmi, si scappava lungo l’argine del Monticano. E proprio sulle rive del piccolo fiume un certo Bazacco cominciava a parlare di sindacato. Nel ’44 i tedeschi misero piede in fabbrica, venivano a gruppi di due o tre per lavori di manutenzione alle loro Jeep. Reclutarono anche diversi operai, fra cui Giuseppe, per il campo di aviazione di Campoformido: in centinaia con zappa e carriola scavavano e spianavano terra. Dopo Campoformido i tedeschi impiegarono Giuseppe nella loro officina con magazzino ricambi di Susegana. Allestita nel fabbricato delle cantine Collalto, era una delle più grandi che l’esercito tedesco aveva in Italia. Alle dieci della mattina e alle tre e mezza del pomeriggio c’era l’abitudine di bere tutti insieme un bicchiere di vino. Intanto alla Zoppas le donne e gli operai più anziani continuavano a produrre, allestirono i primi capannoni per le presse e la prima parte di smalteria. Giuseppe ogni volta che tornava a casa doveva attraversare la linea ferroviaria, che spesso era presa di mira dall’aviazione americana. Una volta se la cavò per miracolo: la bomba cadde dalla parte opposta dell’albero sotto il quale si era buttato. Lo coprì di terra, ma la vita era salva. Quando i tedeschi se ne andarono, in mezzo alla lunga teoria di soldati Giuseppe riconobbe Hans, erano diventati amici. Nell’officina di Susegana, siccome lo vedeva lavorare senza un attimo di tregua, gli diceva Langsam (piano), Langsam. Hans lo salutò: Sepp (Giuseppe) addio, non ti vedo più. Un altro buon uomo era August, che chiedeva a Giuseppe di portare le uova fresche.

Dopo la Liberazione, alla Zoppas vennero perfezionati gli stampi e arrivò la pressa Colombo. Si mangiava sul fosso della strada. Cosa si mangiava? Minestrone, sempre minestrone. Una volta Gino sorprese Giuseppe mentre intiepidiva la sua pignata nell’acqua degli stampi. Utilizzare macchinari o materiale dell’azienda per i propri interessi era assolutamente vietato. Gino glielo fece notare e passò oltre. Fu un atto di bontà, un altro padrone lo avrebbe licenziato. C’era infatti un’addetta al riscaldamento delle pignate: la signora Irma, che dopo la guerra fu sostituita dalla signora Italia. Se uno aveva qualche soldo da spendere, invece, a mezzogiorno andava allo spaccio aziendale o dalla siora Emma per un panino, un’ombra; il bar era il punto di ritrovo degli operai della Zoppas, rimaneva aperto dalle cinque di mattina alle due di notte. Giuseppe lavorava fino a 326 ore al mese, un suo collega, un certo Mazzer sudava così tanto che dalla tuta usciva una schiumiglia bianca.

Pian piano la fabbrica di via Cesare Battisti si estese con un braccio verso ovest nel quale venne collocata l’officina, nel ’50 poi venne la Fonderia, poi...

— Dai móvete che me ocóre el lavoro, fa come che te par basta che te meo consegne, quante volte glielo aveva detto, e sempre Giuseppe era contento di soddisfarlo. Per lui Gino era proprio come un secondo padre.

La grande automobile nera, forse americana, avanza lentamente davanti a centinaia di persone, i fiori sono tanti, anche sul tetto. Ci sono gli addetti dell’impresa di pompe funebri in divisa e degli uomini in giacca e cravatta ai lati del carro funebre, poi gente, tanta gente, e ai bordi della strada si riconoscono una Cinquecento, una Millecento e una Volkswagen parcheggiate. I fari della macchina nera sono sormontati da due ciglia corrucciate, è un giorno triste. È questa la foto che Giuseppe vide sul Gazzettino: "Erano presenti alle esequie numerosi esponenti del mondo industriale, economico e politico nazionale. Notati, la senatrice Maria Pia Dal Canton, sottosegretario alla sanità, l’onorevole Fabbri, l’avvocato Valeri Manera, presidente della Associazione Industriali di Venezia, la Giunta comunale di Conegliano guidata dal sindaco cavalier Salvador, il quale ha pronunciato un discorso commemorativo ricordando la personalità e l’opera dello scomparso, il ragionier Rosolin direttore della Associazione Industriali di Treviso, il presidente della Camera di Commercio di Treviso, commendator Dal Negro con il direttore dottor Borella, la signora Gina Zanussi, vedova dell’indutriale Lino Zanussi, accompagnata dalle figlie, il ragionier Lamberto Mazza consigliere delegato della Rex, il dottor Jelmoni consigliere di Corte d’Appello, il cavaliere del lavoro Bruno Monti, Pietro Dal Vera, oltre a numerose personalità civili e militari".

In meno di un anno Giuseppe partecipò ad altri due funerali, quelli di Augusto Zoppas nel marzo del ’71, e di Francesco Zoppas il mese successivo.